Sono un consulente aziendale, un coach e un consulente filosofico. Mi occupo di persone e organizzazioni. Qui scrivo di come cambiare le une e le altre. In particolare, ma non solo, con le pratiche filosofiche. Perchè, come dice Wittgenstein, "compito della filosofia è mostrare alla mosca come uscire dalla bottiglia". E... giusto per essere chiari: qui le mosche siamo noi. Per chi desidera scrivermi c'è l'e-mail paolo.cervari@gmail.com, mentre per saperne di più su ciò che faccio c'è www.cervari-consulting.com.

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sabato 25 giugno 2011

Il nulla del nulla

"...il sentimento del nulla, è il sentimento di una cosa morta e mortifera. Ma se questo sentimento é vivo, come nel caso ch'io dico, la sua vivacità prevale nell'animo del lettore alla nullità della cosa che fa sentire, e l'anima riceve vita (se non altro passeggera) dalla stessa forza con cui sente la morte perpetua delle cose, e sua propria". Splendide e icastiche parole di Leopardi (Zibaldone, 261) che ci mostrano una vola per tutte come il rapporto tra vita e morte sia a dir poco non semplice, come ho cercato di spiegare in un libro di prossima pubblicazione (Harry Potter e la (tua) morte). Anzi, volendo esagerare, varrebbe la pena di pensare al rapporto tra vita e morte come a un rapporto storico-dialettico, come quello che lega in Walter Benjamin il ricordo e la redenzione. Ovvero, per chiudere senza troppe filosofisterie: la depressione ha sempre un che di ideologico... tant'è che una delle modalità di approcciarla tipica della terapia strategica è chiedere al depresso: "ma come ci riesce a farcela, come le riesce di essere depresso?" Non prenda il lettore tutto questo in modo superficiale - ovvero lineare. Quello che intendo dire è che tutte queste... diciamo così, "nozioni" (vita, morte, ricordo, redenzione, nulla ecc.) non sono mai un che di dato, come peraltro a dire il vero nient'altro, ma, come ci ha magistralmente insegnato Michel Foucault, eminenti e basilari, nonchè mutevoli, costrutti storici.

Vita e sopravvivenza

Dice Zizek in Vivere alla fine dei tempi (pag. 18) che per ingaggiare la nostra battaglia politica, secondo "la formula di Badiou mieux vaut un désastre qu'un désètre, meglio correre un rischio e impegnarsi nella fedeltà a un Evento di verità, anche se si conclude con una catastrofe, che vegetare in quella sopravvivenza utilitaria-edonistica e priva di eventi che Nietzsche chiamò, "l'ultimo uomo". Ciò che Badiou rifiuta è quindi l'ideologia liberale del vittimismo, con la sua riduzione della politica a un programma per evitare il peggio, per rinunciare a tutti i progetti positivi e seguire l'opzione del meno peggio. Specialmente perché, come osservò amaramente lo scrittore ebreo viennese Arthur Feldmann, il prezzo che di solito paghiamo per sopravvivere è la nostra vita". Si, concordo del tutto, ma Zizek non ci spiega come fare. Perché il vero problema è che a volte ci s'ingaggia nel suddetto Evento di verità, e ci si resta fregati. Non solo perché si perde, ci mancherebbe, perdere è possibile, ma perché si scopre solo dopo che non era un Evento di verità, ma una fola, un fantasma, uno spettro. Insomma quello che ci manca è un rivelatore di verità, o per lo meno un metodo per non sparare nel mucchio. Per dirla in parabola, se San Paolo sulla via di Damasco ha capito che era Dio che gli parlava, oggi probabilmente avrebbe qualche dubbio e magari andrebbe dallo psichiatra. Senza di questo, senza questo metodo (brutta parola ne convengo, ma suona bene in un contesto che ha sempre favoleggiato di un "metodo rivoluzionario": Zizek è comunista), senza un qualcosa che ci consenta di scegliere con un minimo di probabilità a favore, avranno sempre la meglio quelli che ti promettono di soddisfare, come diceva ancora Nietzsche "una vogliuzza per la mattina e una per il pomeriggio". Insomma concludendo: per non oziare per sempre a Las Palmas (come evocava James Ballard nello splendido suo racconto Tanti saluti da Las Palmas) ci vuole qualcosa che ci scuota, si, ma anche qualcosa che ci dia un po' di ragionevole speranza.

martedì 7 giugno 2011

Le questioni più scottanti

Husserl in Die Krisis der europäischen Wissenschaft und die transzendentale Phänomenologie (trad. it. La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 2002) scriveva “Le questioni che la scienza esclude per principio sono proprio le questioni scottanti nella nostra infelice epoca per un’umanità abbandonata agli sconvolgimenti del destino: sono le questioni che riguardano il senso e l’assenza di senso dell’esistenza umana in generale”.

Mi colpisce che Husserl parlasse così già nel 1954, perché la questione posta in questo modo é comprensibile solo sullo sfondo della nostra contemporanea civiltà - e dunque aveva visto bene e abbastanza in anticipo. Nessun'altra civiltà si é infatti mai ritrovata di fronte al problema dell'assenza di senso, proprio perché il "senso" è un costrutto della civiltà stessa. La cosa rimarcabile é che noi abbiamo prodotto una civiltà che non fa più la civiltà, ovvero non si pone come culla del senso.

Siamo una civiltà senza senso. E dunque ci manca.