Sono un consulente aziendale, un coach e un consulente filosofico. Mi occupo di persone e organizzazioni. Qui scrivo di come cambiare le une e le altre. In particolare, ma non solo, con le pratiche filosofiche. Perchè, come dice Wittgenstein, "compito della filosofia è mostrare alla mosca come uscire dalla bottiglia". E... giusto per essere chiari: qui le mosche siamo noi. Per chi desidera scrivermi c'è l'e-mail paolo.cervari@gmail.com, mentre per saperne di più su ciò che faccio c'è www.cervari-consulting.com.

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giovedì 4 novembre 2010

Le grandi sfide per il management del XXI secolo – 5

Con rimando ai precedenti post che si trovano sotto l'etichetta "25 sfide per il management di domani", la sfida per il management di domani numero 5 è:

Combattere la paura e aumentare la fiducia. La diffidenza e la paura sono tossiche per l’innovazione e il coinvolgimento, e devono essere estromesse dai sistemi manageriali di domani.

E qui ci viene da ridere: innumerevoli publicazioni e studi ci dicono che l'emozione che ha più corso legale (e illegale) in un'organizazione é la paura. Tutti hanno paura: di perdere il posto, il potere, la rete di relazioni, la fiducia del superiore, degli azionisti, degli stakeholders potenti... I costi di quest'andazzo sono pesantissimi: la paura paralizza, incoraggia il paraculismo e lo scarica barile, invoglia al non fare e uccide l'entusiasmo, la passione e per l'appunto la fiducia. E attenzione, ciò significa meno performance, meno soddisfazione del cliente e meno profitti o output qualsiasi (malati ben curati per esempio). L'antidoto è per l'appunto, la fiducia, la confidenza in sè e negli altri... Ma come si fa a creare fiducia? E' un bel problema, perchè se i valori aziendali li puoi comprare da Mc Kinsey e "installare", benchè fittiziamente (ma ci puoi fare un bella conferenza stampa o una celebrativa "cascade" in cui tutti dicono di si...) la fiducia non si compra, nè si vende. La fiducia va costruita. E ci vuole tempo. Come si fa? E' banale: chiedetevi quando avete fiducia in qualcuno. Ce l'avete quando rispetta gli impegni, è coerente, dice quello che fa e fa quello che dice, non racconta balle, non gioca a carte coperte o truccate e vi sa guardare negli occhi davvero e senza recitare... e infine, udite udite, ha un'etica (qualsivoglia, ce n'è diverse...) e la rispetta. Quindi sappiamo COSA fare... Il problema e semmai il COME... E su questo ho delle idee... ma ora sarebbe lungo dirlo, anche perchè per ogni caso la strada da fare è diversa. Un'unica riflessione in merito: vuoi davvero maggiore fiducia? Bene, allora la domanda che ti faccio subito dopo è: sei disposto a correre i rischi e pagare i costi? Non è gratis... ci vuole fatica e bisogna sapersi mettere in discussione!

Per maggiori informazioni vedi http://www.managementlab.com/ e “Le grandi sfide per il management del XXI secolo del XXI secolo” in Oltre la crisi, Piccola Biblioteca del Sole 24 Ore N. 19/2009, Il Sole 24 Ore).

mercoledì 3 novembre 2010

Alterazioni

Da un po' di tempo, quando ho un'idea che mi devo ricordare, mi scrivo una mail. Ricevere da me stesso, come fossi un'altro, una lettera, sia pure breve - anzi, specie se breve - ti cambia il punto di vista su te stesso. Intanto non sai più se esista un se stesso (specialmente se fai passare un po' di tempo tra la scrittura e la lettura di ciò che ti sei mandato). E' un po' come farsi un regalo... magari a distanza (programmato su un sito che te lo recapita al compleanno, mesi dopo che lo hai chiesto)... in questo modo, un poco perverso, anzi schizoide, ricrei la socialità che ti fonda, e ti fendi in due ma sei in fondo sempre uno, ovvero, vale a dire, molti. Fin qui niente di nuovo... sarebbe come scrivere un diario e rileggerlo, lo faceva anche Madame de Stael. Oppure, per complicare il quadro, Laclos, mettendo in scena e in campo tutti gli scrittori di lettere e tessitori di pericolose amicizie. Ma la cosa nuova è il mezzo: ti arriva davvero. Qualcosa o qualcheduno, un certo dispositivo, ti distanzia da te stesso, ti fa altro e ti tratta e si presenta come tale. Come diceva un mio amico, cui furono amputate le dita della destra: "farlo con la sinistra è bellissimo, sembra che sia un altro". Insomma, in questo modo, ti separi, ti protendi e sopravvivi, ovvero sperimenti la tua morte.

mercoledì 27 ottobre 2010

Potere e dominio

"Le relazioni di potere non sono qualcosa di cattivo da cui bisogna affrancarsi; credo che non possa esistere una società senza relazioni di potere, se queste vengono intese come strategie attraverso cui gli individui cercano di condurre e determinare la condotta degli altri. Il problema non è, dunque, di cercare di dissolverle nell’utopia di una comunicazione perfettamente trasparente, ma di darsi delle regole di diritto, delle tecniche di gestione e anche una morale, un ethos, la pratica di sé, che consentano, in questi giochi di potere, di giocare con il minimo possibile di dominio".

Michel Foucault, L'ethique du souci de soi comme pratique de la liberté

Vitalità della morte

"Il sentimento del nulla è il sentimento di una cosa morta e mortifera. Ma se questo sentimento è vivo (...), la sua vivacità prevale nell'animo (...) alla nullità della cosa che fa sentire, e l'anima riceve vita (se non altro passeggera) dalla stessa forza con cui sente la morte perpetua delle cose, e la sua propria",

Giacomo Leopardi, Zibaldone

lunedì 18 ottobre 2010

Umanimali

"L'uomo ha grande discorso, del quale la più parte è vano e falso. Li animali l'hanno piccolo, ma utile e vero, e meglio è la piccola certezza che la grande bugia"

Leonardo da Vinci, Scritti

martedì 5 ottobre 2010

Vita e sovranità

Che cos'è la sovranità? E che rapporto ha con la vita? Il sovrano era colui che aveva diritto di vita e di morte... concezione più forte di quel che può sembrare a tutta prima, giacchè per esempio secondo quanto Rousseau scrive nel suo Le contrat social, "la vita non è (...) un beneficio incondizionato della natura, ma un dono condizionato dello Stato" (il maiuscolo è suo, ovviamente). Capito? La vita non è tua, ma un dono che ti fa lo Stato. Il che sembra incredibile, perchè non vedo come lo stato possa procreare - alzi la mano chi tra voi ragazze ha giaciuto con lo stato! Ancora più incredibile che con Dio... Tant'è che se è vero, come è vero che lo stato ha (aveva...? mah....) potere di morte, poteva in realtà darti la vita solo dopo che te l'aveva tolta, con una condanna, concedendoti una grazia (termine le cui risonanze teologiche conosciamo bene...). Insomma il potere dello stato, a ben vedere, è solo di morte, il resto è un bluff, un gioco di prestigio in cui ti si (ri)dà qualcosa che in realtà non ti hanno tolto mai. Il che forse definisce lo stato e la sovranità: ti fanno paura minacciandoti di morte. Che è precisamente la quintessenza della tirannia. E del resto com'è che oggi ci affanniamo tutti a rimanere giovani e sani, a scongiurare la morte? Forse solo la fine dello stato ci potrà fare uscire da questa... schiavitù, o per meglio dire, minorità. Certo, ci sarebbe da dire che cos'è la vita... lo farò in un altro post. Ma posso anticipare che definirla o vederla come "non morire" è abbastanza riduttivo (anzi, molto pericoloso)... e mi ricorda un topo impaurito.

mercoledì 29 settembre 2010

2

"Il numero della politica - quando è in gioco la vita - non è l'Uno, ma il Due."

Roberto Esposito, Pensiero vivente

Identità e complessità

Ma se l'uomo inventa se stesso ed è "faber fortunae suae" (a chi lo si deve attribuire? ...di certo era in voga nel Rinascimento), allora qual'è la sua identità? Ovvero che identità è modificarla? In realtà è proprio da questo che nascono molte delle cose che mi piacciono: il gioco, l'arte, i paradossi, la complessità, le cornici, le cornici di cornici, le cornici di cornici di cornici (et coetera), la schizofrenia, ceci n'est pas une pipe, il teorema di Godel, io sto mentendo e la distinzione (?) tra uso e menzione. Per chiarire: da ragazzo giocavo benino a scacchi ma poi mi sono disamorato: tanta potenza di calcolo, ma... (che noia) unilineare!

L'uomo

L'uomo
"Nec certam sedem, nec propria faciem, nec munus ullum peculiare".

Pico della Mirandola, De hominis dignitate

lunedì 20 settembre 2010

La verità

"La verità è una cosa meravigliosa e terribile, e per questo va trattata con cautela". Chi l'ha detto? Ti soprenderò: l'ha detto Albus Silente, preside della Scuola di Magia di Hogwarts e mentore di Harry Potter. Cosa intendeva dire? Ci sarebbe da scrivere un trattato... Allora sfrondo, come diceva Foscolo nei Sepolcri parlando di Machiavelli che a sua volta, nella fattispecie, parlava degli "onori" dei principi (nel suo Il Principe). In primo luogo non esiste la verità. Poi, ce n'è di diversi gradi e qualità (la proposizione 2+2 fa 4 ha un regime di verità diverso dalla proposizione "ti amo", per non parlare di "stai tradendo la mia fiducia", oppure di "quella ragazza è molto bella"). Quindi, la verità, in occidente per lo meno, ovvero nella filosofia, viene detta (e quindi bisogna assumersene la responsabilità). Infine, la verità è spesso relativa, il che non vuol dire affatto che non esista - tant'è vero che prendiamo appuntamenti, ci fidiamo degli altri (di alcuni) e abbiamo aspettative più o meno ragionevoli (ovvero vere) sui comportamenti altrui. Da tutto quanto sopra consegue per l'appunto che la verità sia "meravigliosa e terribile", perchè ci obbliga a essere coerenti con quanto diciamo... e non solo quando prendiamo appuntamenti. La verità è sfuggente, seduttiva, parziale e sempre a venire: è come la Sfinge, che non a caso poneva indovinelli che avevano per posta la vita. Ma perchè ho citato Silente? Sto scrivendo su Harry Potter, saga straordinaria e molto più filosofica di quanto si possa immaginare. Il tema? La morte, che se ci fai caso, leggendo tra le righe, con la verità va a braccetto.

domenica 29 agosto 2010

Filosofia

"La filosofia è un bene comune: ogni cittadino ha la capacità e il diritto di parteciparvi."

Ermanno Bencivenga, La filosofia come strumento di liberazione

sabato 28 agosto 2010

La vita dell'uomo

“La vita dell’uomo non si chiude nella figura del cerchio: in lui principio e fine non si toccano. L’uomo è un cerchio mancato, incompiuto, un arco: l’arco della vita, appunto. Questo ci dice la lingua ancor prima dell’esperienza, la parola ancor prima dell’idea: infatti per una meravigliosa e tremenda ambiguità linguistica la parola greca bios accentata sulla prima vocale (bìos) significa “vita”, sulla seconda vocale (biòs) significa “arco” (v. Eraclito, fr. 48 Diels-Kranz).” Sono le belle parole con cui Ivano Dionigi conclude il suo scritto Cotidie Morimur, nel libro collettivo Morte, fine o passaggio (BUR 2007), cui vorrei aggiungere una riflessione: è vero, nella vita umana inizio e fine non si toccano, ma se essa è un arco, sono unite dalla corda, che le mette in tensione tra loro, unendole con qualcosa che certo non è la vita stessa. Che cosa sia questa corda è materia su cui riflettere. Ma anche e soprattutto vale la pena di chiedersi, dato che con questa corda si scaglia la freccia, cosa sia la freccia. E dove vogliamo scagliarla… se ci riusciremo.

Innovare

"Assegnare ai pianificatori la responsabilità di creare strategie è come chiedere a un muratore di scolpire una Pietà di Michelangelo"

Gary Hamel, Leader della rivoluzione

giovedì 22 luglio 2010

Come si esce dai doppi legami

Un giorno a un viandante apparve il diavolo in tutto il suo orrore e la sua malvagità. Ghignava e gongolava di piacere.
- Viandante – gli disse – ora tu potrai esprimere un desiderio che io esaudirò. Altrimenti morirai. Ti consiglio di chiedere ciò che più desideri al mondo, perché c’è un prezzo. E me lo pagherai.
Il viandante ci pensò su e poi sorridendo con calma disse:
- Desidero che tu non abbia più alcun potere.

sabato 17 aprile 2010

Lo scopo della filosofia

"Scopo della filosofia è la chiarificazione logica dei pensieri. La filosofia è non una dottrina, ma un'attività. Un'opera filosofica consta essenzialmente d'illustrazioni. Risultato della filosofia non sono "proposizioni filosofiche", ma il chiarirsi di proposizioni. La filosofia deve chiarire e delimitare nettamente i pensieri che altrimenti, direi, sarebbero torbidi e indistinti."

Ludwig Wittgestein

giovedì 18 marzo 2010

Il dilemma morale originario

Sei in una una grande sala piena di computer ronzanti. E’ tutto bianco. Davanti a te c’è un omino dalle fattezze anodine, coi baffetti e un atteggiamento vagamente mefistofelico. La sua voce è suadente, lievemente tentatrice. Ti porta davanti a una consolle dove campeggiano, senz’altra apparecchiatura o strumentazione, due grandi pulsanti, uno giallo e uno blu. “Dunque” dice l’omino “se schiacci il pulsante giallo, muori tu. Se schiacci il pulsante blu, muoiono tutti gli altri esseri umani, tranne te. In un caso, se decidi di morire tu, il mondo non cambierà in nulla, tranne che per il fatto che tu non ci sarai più. Se schiacci il pulsante blu, invece, come ti ho detto, moriranno tutti, me compreso, naturalmente e, giusto per non farti vagheggiare comode vie di uscita, verrà distrutto qualsiasi materiale genetico umano immagazzinato ovunque. Insomma non potrai riprodurti o riprodurre esseri umani. Vivrai in completa solitudine e poi alla fine della tua vita, il genere umano sarà per sempre del tutto estinto. Bene… cosa scegli?”

domenica 28 febbraio 2010

Cose mai viste

"Alcuni vedono le cose come sono e dicono perché? Io sogno cose non ancora esistite e chiedo perché no?"

G.B. Shaw, Torniamo a Matusalemme

sabato 27 febbraio 2010

Una nuova scienza

"Il bello e il brutto, il letterale e il metaforico, il sano e il folle, il comico e il serio... perfino l'amore e l'odio, sono tutti temi che oggi la scienza evita. Ma tra pochi anni, quando la spaccatura fra i problemi della mente e i problemi della natura cesserà di essere un fattore determinante di ciò su cui è impossibile riflettere, essi diventeranno accessibili al pensiero formale."

Gregory Bateson, Là dove gli angeli esitano

Le grandi sfide per il management del XXI secolo – 4

Con rimando ai precedenti post che si trovano sotto l'etichetta "25 sfide per il management di domani", la sfida per il management di domani numero 4 è:

Debellare le patologie della gerarchia formale. Le gerarchie naturali, dove il potere procede dal basso verso l’alto e i leader emergono anziché essere nominati, comportano numerosi vantaggi.


Questa è una cosa che sanno tutti: chi non ha avuto un capo idiota? E chi non ha patito per la necessità di rispettare delle linee gerarchiche che non hanno nessun valore reale? Nulla è più triste e grottesco di un capo non rispettato. E poche cose sono altrettanto costose per un'organizzazione e per le persone che ne fanno parte. D'altra parte si dice spesso che non si può fare altrimenti, perchè le gerarchie, si sa, vanno rispettate, quand'anche siano funzionali agli obiettivi.... come si vede queste affermazioni hanno qualcosa di contradditorio. Il punto è che se in situazioni "tranquille" è possibile tollerare gerarchie poco sentite dalle persone, quando bisogna combattere in fertta e bene le cose vanno diversamente: guardate cosa succede a una squadra di calcio dove il capitano viene osteggiato dagli altri... E allora che fare? Purtroppo il responso da dare è duro: molto semplicemente bisogna evitare di dare responsabilità a capi di scarso valore. E forse la parola chiave è proprio questa: responsabilità. Dei leader e dei followers - anche nelle aziende vale la massima per cui un popolo, compresi gli azionisti, ha il governo che si merita. Vi sono aziende che hanno risolto il problema alla radice: i capi sono quelli che si fanno ascoltare. Come dice Rick Buckingham, direttore di produzione dei tessuti tecnici di W.L. Gore&Associates: "Se convochi una riunione e la gente si presenta, vuol dire che sei un leader."

Per maggiori informazioni vedi www.managementlab.com e “Le grandi sfide per il management del XXI secolo del XXI secolo” in Oltre la crisi, Piccola Biblioteca del Sole 24 Ore N. 19/2009, Il Sole 24 Ore.

lunedì 8 febbraio 2010

Manager con la filosofia

«Ora che il lettore ha percorso il suo cammino al fianco di alcuni grandi filosofi, tutto comincia!
Ora infatti non si tratta più di leggere, ma di lavorare con la filosofia. Non si tratta più di capire, ma di realizzarsi attraverso le azioni.. Cambiare atteggiamento significa assumersi un rischio e agire in maniera diversa significa accettare l’incertezza. L’incertezza fa paura, la vita fa paura. E’ per questo che chi non rischia nulla non ottiene nulla e chi non cambia è già morto.
Fare filosofia in azienda significa:

Porre domande quando tutto sembra chiaro
Definire quando tutto sembra evidente
Passare dalla comunicazione al dialogo
Dare un fondamento quando tutto passa
Essere creativi in un ambiente standardizzato
Apparire in accordo con se stessi

Bisogna andare controcorrente in un’epoca che preferisce:

Le cifre alle domande
I fuochi artificiali alla luce del giorno
I discorsi al dialogo
Il visibile all’invisibile
La sicurezza alla fiducia
La trasparenza alla chiarezza

Lavorando in questo modo, il manager di oggi crea il mondo di domani!».

Eugénie Vegrelis, Manager con la filosofia

...e per chi vuole sapere di più, potrà leggere a breve una mia recensione al libro citato sulla rivista Phronesis, che trovate a www.phronesis.info

sabato 6 febbraio 2010

Le grandi sfide per il management del XXI secolo – 3

Con rimando ai precedenti post che si trovano sotto l'etichetta "25 sfide per il management di domani", la sfida per il management di domani numero 3 è:

Ricostruire le fondamenta filosofiche del management. Per creare organizzazioni che siano ben più che semplicemente efficienti, avremo bisogno di attingere agli insegnamenti di campi come la biologia, le scienze politiche e la teologia.

Bè.. su questa (grazie Gary Hamel!) ci vado a nozze: non avete idea, o forse sì, se vivete in azienda, di quante persone, manager e dirigenti, siano dei perfetti ignoranti riguardo a una serie di cose imprescindibili per capire il mondo di oggi.Per esempio, credo che pochi manager sappiano perchè le funzioni o equazioni lineari non funzionino nei sistemi complessi, oppure cosa sia la determinazione posteriore del senso , o il mana o una profezia che si autoavvera. Tutte cose altrettanto importanti di quelle che hanno studiato alla Bocconi (va detto che magari se sono stati all'INSEAD qualcosa ne sanno...) .. e che poi magari hanno pure dimenticato, poverini, facendo per anni i promo per il cioccolatino COSO o altre amenità del genere. Non ce l'ho coi manager sia chiaro: è che il sistema in cui li allevano è vecchio. Non funziona più, è un'istituzione decotta. Per questo hanno bisogno di pensiero nuovo. O di romanzi, come dice il dottor Celli ... o di un po' di filosofia, che li aiuti a pensare in modo un po' più rotondo, più ricco, più fecondo. Non ci vuole molto. Basta impiegare un po' di tempo a riflettere... ma bisogna spegnere gli smartphone, e credere fermamente che nelle prossime due ore non sarai proprio necessario a questo mondo. Per convicersene, consiglio un bel giretto al Cimitero Monumentale, pieno zeppo, come diceva Charles de Gaulle, di "uomini indispensabili".

Per maggiori informazioni vedi www.managementlab.com e “Le grandi sfide per il management del XXI secolo del XXI secolo” in Oltre la crisi, Piccola Biblioteca del Sole 24 Ore N. 19/2009, Il Sole 24 Ore.

martedì 2 febbraio 2010

Il proprio dell'uomo

"Il *se, il proprio dell’uomo, non è un indicibile, un sacer che deve restare non detto in ogni prassi e in ogni parola umana. Esso non è nemmeno, secondo il pathos del nichilismo contemporaneo, un nulla, la cui nullità fonda l’arbitrarietà e la violenza del fare sociale. Piuttosto esso è la stessa prassi sociale divenuta, alla fine, trasparente a se stessa".

Giorgio Agamben, La potenza del pensiero

La mia amica Paola Santagostino mi dice che spesso non si capisce quello che dico. E rileggendo la citazione di cui sopra, comprendo come sia un poco criptica (che vuol dire poco chiara). E dunque la spiego. Il *se di cui parla Agamben è la parola indoeuropea, molto antica, da cui derivano parole come "sè", "suo" (nel senso latino di "suus", che significa "proprio") e pure "solvere" ovvero la parola latina da cui deriva la nostra "soluzione". Quello che Agamben intende dire, in pratica, è che noi, nel nostro più proprio essere, non siamo nè un segreto che resta sempre da scoprire, un non detto, un "quid" indicibile che si deve sempre spiegare e rispiegare, e nemmeno, come dicono i nichilisti, un nulla, un niente, uno zero, un illusione senza senso. La nostra più vera essenza, invece, dice Agamben, altro non è che ciò che facciamo, il nostro rapporto con gli altri. Senza null'altro dietro, senza segreti, senza trucchi. Siamo quello che siamo: irrimediabilmente. Il che tra l'altro significa che siamo tutti solo fuori. Non c'è più un dentro da interpretare. E nessuno che possa farlo. Siamo del tutto esposti. O meglio, pubblici. Siamo quello che sembriamo (c'è una trasmissione televisiva che ha come pay off "niente è come sembra". Ecco, oggi questo è un discorso reazionario: ci vogliono illudere che ci sia un senso segreto delle cose... ma è roba vecchia, come un un fotoromanzo: il senso segreto non c'è più, e il vero segreto è che non c'è nessun segreto).

domenica 31 gennaio 2010

Metasuperiorità

"Un pilota superiore è quello che usa il suo superiore giudizio per evitare di usare le sue superiori capacità".

Fernando Giancotti, Testimonianze e complessità, in "Il project management emergente"

Conversazione con Pier Luigi Celli

Qualche giorno fa sono stato a Roma, alla Luiss, a parlare con Pier Luigi Celli. Ero con Neri Pollastri, coautore con me di un futuro libro sulle Pratiche Filosofiche per le organizzazioni per le edizioni di Apogeo. E proprio questo era l’argomento di cui trattare con Celli. Che è stato molto gentile, in primo luogo a riceverci, e poi a dialogare. Lo ha fatto in modo diretto, chiaro e perspicuo. E ci ha rincuorato, senza averne l’intento, perché ci ha detto che secondo lui oggi temi quali la compartecipazione, la condivisione dei valori, il senso di appartenenza, le modalità – complesse – di stare nelle organizzazioni (ci ha parlato di persone che stanno sui confini), il senso di ciò che si fa… sono temi che colgono l’interesse delle aziende. “Le aziende hanno un pensiero produttivo” ci ha detto, quasi a metterci in guardia. Tuttavia qualche spiraglio si presenta. Va notato che l’uomo, quando gli abbiamo parlato di ciò che facciamo, ci ha detto, anzi raccontato, di avere fatto lui stesso cose simili. “La prima cosa che ho cercato di fare è farli leggere”, dice riferendosi ai manager. “Un manager di solito ha letto poco, specialmente romanzi. Ma come fai a capire le cose della vita se non hai letto dei romanzi? Cominciavo con romanzi che parlavano un poco di realtà aziendale, così si interessavano di più… ad alcuni suggerivo romanzi storici e libri di storia”. D’altronde va detto che uno degli ultimi libri di Pier Luigi Celli, Come si maneggia il mondo, è frutto di una serie di gruppi di discussione fatti coi suoi studenti. “Venivano qui” dice indicando il tavolo del suo studio. Il libro è molto bello e si capisce che è frutto di un vero lavoro di riflessione comune: lo dico perchè l’ho letto in treno tornando. Me lo ha regalato lui. Un grande uomo, se posso permettermi, come peraltro già ben si capiva da Comandare è fottere, di cui gli ho parlato. “Dottor Celli” gli ho detto, “il libro è bellissimo, ma lei saprà bene che se lei ha fatto come Machiavelli secondo Foscolo, ovvero quello che ‘temprando lo scettro ai regnatori gli onor ne sfronda’, in realtà temo che pochi lo abbiano capito...”. “Ha ragione”, mi ha risposto, “molti hanno pensato che fosse un libro di consigli”. Leggetelo. E rabbrividite.

lunedì 25 gennaio 2010

Avatar

Chi amiamo? Noi stessi? Un altro? Degli altri? Un tutto? E cosa ci tocca passare e subire e capire per saperlo? Di questo parla questo film. Scordatevi le semplicistiche polemiche sciocchine sul far west, gli indiani, i buoni e i cattivi e quant’altro su cui insistono molti – compreso Mereghetti - a proposito di “Avatar”. Perché l’essenziale sta nel titolo: maschera, incarnazione, l’antica latina (il termine è sanscrito) “persona”. Ovvero, per dirla veloce: ti giochi, ti spendi, autenticamente e davvero, come un altro. Vale a dire che reciti sempre e per forza… te stesso. E questo per l’appunto accade al nostro protagonista, Jack Sully, marine semplice, uno come noi, un uomo costretto su una sedia a rotelle che per un colpo beffardo del destino si ritrova a potersi infilare nella mente e nel lavoro di suo fratello gemello. Hanno lo stesso DNA, questo è quello che conta per l’esercito e per il governo della Terra, e perciò il nostro Jack Sully (sei tu, non dimenticarlo) è pronto a sostituire il gemello morto nella “guida” di un altro, un avatar, una totale e coinvolgente incarnazione di sé nel corpo e nella mente di un alieno. Lo scopo è conoscere e comprendere questi ragazzi, alti tre metri, con ossa irrobustite a fibre di carbonio e capaci di una perfetta armonia col pianeta in cui vivono. Con una mela avvelenata sottostante però, perchè la posta in gioco è un minerale maledettamente prezioso: venti milioni di dollari al chilo. Il nostro Jack si ritrova dunque a giocare in un gioco perverso e cattivo: si fa accettare dagli alieni e inizia con loro un percorso di iniziazione, sotto la guida della figlia del capo, segnata dal fatto che all’inizio della vicenda si è ritrovata per passione a salvargli al vita. “Perché l’hai fatto?” le chiede Jack subito dopo. “Tu hai un gran cuore e non hai avuto paura” è la risposta. Così comincia per Jack un’ascesi schizoide dove quando dorme come umano è un alieno, e viceversa. E intanto si diverte, sviluppa e altera sempre di più. Impara a conoscere la foresta, a saltare da un albero all’altro, a cavalcare creature a sei zampe e volare in groppa a rettili assassini che ti riconoscono come cavaliere cercando di ucciderti. E con tutti questi animali, e con le piante, quello che conta è “il legame”, che si manifesta materialmente: è un intreccio di fili, pseudopodi, piccoli tentacoli che si uniscono per fondere tra loro intenzioni, sensazioni ed emozioni degli esseri. Il problema è ovviamente che i “padroni” di Jack non la vivono come lui. Per loro l’essenziale sono le preziosissime pietre e pazienza per la vita edenica ed ecologica dei ragazzi. Ma non hanno previsto che Jack ormai li ama, e non solo loro, ma soprattutto lei, che diventa la sua sposa. A questo punto il dramma si scatena e Jack farà le sue scelte, trascinando con sé alcuni compagni umani. Perché quello che conta è la vita, non la provenienza. “Come ci si sente a tradire la propria razza?” chiede a Jack il generale dei marines ripreso pari pari da Apocalypse Now. Jack non risponde, salta sul suo drago volante di eccezionale, epocale, grandezza e vola a salvare il popolo, ormai suo, degli alieni. E’ guerra, per giustizia. Cosa capisce in questa avventura colui che potresti esser tu? Un sacco di cose: cos’è l’amore, cos’è l’appartenenza, cosa sono le scelte, cos’è il Bene, come ti marchia nella carne essere un leader, cosa significa tradire e a che prezzo vale la pena di farlo… e tantissime altre cose ancora. Una tra tutte vorrei scegliere e ricordare: che quello che siamo è definito dagli altri, da quelli che amiamo e che ci vogliono amare, che la vita è una serie di sorprese con il grande merito di rivelarci chi siamo. E che se c’è una guida, un destino, non è certo deciso prima… la Grande Madre, dice la ragazza a un certo punto, “non prende mai le parti di nessuno, ma tutela l’equilibrio della vita”. Che però ha delle regole, e penso, opino, con il regista e sceneggiatore, il grandissimo Cameron, che una di esse sia l’amore. Dedicato a chi non ha paura di scoprire che sapere per cosa vale la pena di vivere significa capire per cosa vale la pena di morire. I nostri amici alieni lo sapevano, Jack Sully l’ha capito. Ti auguro, mio avatar, altrettanto.

martedì 12 gennaio 2010

Steve Jobs ha detto

Nel precedente post ho citato il discorso di Stanford di Steve Jobs. Eccone il succo:

"Certamente all’epoca in cui ero all’università era impossibile unire i puntini guardando al futuro.

Ma è diventato molto, molto chiaro dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro.
Non è possibile unire i puntini guardando avanti, potete unirli solo guardandovi indietro.
Così dovete avere fiducia che, in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire.
Dovete credere in qualcosa – il vostro intuito, il destino, il karma, qualsiasi cosa.
Quest’approccio non mi ha mai lasciato a piedi. E ha sempre fatto la differenza nella mia vita."

Steve Jobs
Discorso all’Università di Stanford, 12 Giugno 2005

A me piace perchè è una delle formulazioni più chiare che abbia mai trovato della sovradeterminazione del senso (concetto di Freud) ovvero della sua determinazione posteriore (nachtraglickeit) . Per dirla in modo ancora più facile: il senso di quello che fai lo saprai solo dopo. Ma perchè prima... non c'è. Si fa, per così dire, per strada. Per fare ancora gli eruditi, c'è una bella immagine di Walter Benjamin, famosa: l'angelo della storia, l'Angelus Novus, che procede nel futuro guardandosi all'indietro. Facciamo tutti così. E se ci girassimo, ogni tanto?