Sono un consulente aziendale, un coach e un consulente filosofico. Mi occupo di persone e organizzazioni. Qui scrivo di come cambiare le une e le altre. In particolare, ma non solo, con le pratiche filosofiche. Perchè, come dice Wittgenstein, "compito della filosofia è mostrare alla mosca come uscire dalla bottiglia". E... giusto per essere chiari: qui le mosche siamo noi. Per chi desidera scrivermi c'è l'e-mail paolo.cervari@gmail.com, mentre per saperne di più su ciò che faccio c'è www.cervari-consulting.com.

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mercoledì 18 novembre 2009

Il pensiero come un fiore

"Si, vi sono pensieri vivi e pensieri morti. Il pensiero che si muove sulla superficie illuminata, che può essere sempre verificato e riscontrato lungo i fili della causalità, non è necessariamente il pensiero vivo. Un pensiero che s’incontra in questo modo rimane indifferente come un uomo qualsiasi in una colonna di soldati in marcia. Anche se un pensiero è entrato nella nostra mente molto tempo prima, prende vita solo nel momento in cui qualcosa, che non è più pensiero, che non è più logico, si combina con esso, così che noi sentiamo la sua verità, al di là di ogni giustificazione, come un’ancora che lacera la carne viva e calda… Ogni grande scoperta si compie solo per metà nel cerchio illuminato della mente cosciente, per l’altra metà nell’oscuro recesso del nostro essere più interiore, ed è innanzitutto uno stato d’animo alla cui estremità sboccia il pensiero come un fiore."

Robert Musil, I turbamenti del giovane Törless

domenica 15 novembre 2009

Questioni di cuore

Il film ci parla di un’amicizia virile. La cosa nasce in ospedale, dove i due si conoscono in lettino nel reparto infartuati. Uno (Albanese) fa lo sceneggiatore e affabula senza sosta, non tace mai, una ne fa e cento ne pensa. L’altro è un onesto carrozziere specializzato in macchine d’epoca, instancabile accumulatore di denaro e appartamenti, sposato con una bella donna e relativa prole d’ordinanza. Il fatto è che, una volta risolta la crisi cardiaca e dimessi ambedue, lo sceneggiatore, in crisi esistenziale e lavorativa, si accosta a questa famigliola, si affratella al carrozziere e addirittura, come fosse uno svago sabbatico, si mette a lavorare in carrozzeria. Ma il nostro carrozziere, saputo che il cuore non ce la farà, inizia a favorire non solo l’amicizia, ormai salda, ma anche i rapporti più intimi tra la propria moglie e lo sceneggiatore.
Nulla viene mai detto con chiarezza e in questo sta parte dell’eleganza e della bellezza del film. Ma è evidente che il nostro tragico carrozziere sta cercando di effettuare un passaggio di consegne: proprio per l’amicizia sul filo della vita e della morte che si è creata tra loro due, egli si figura di affidare la propria famiglia, moglie compresa, all’amico. Il quale, scoperto il gioco, dice no, o meglio, se ne va. Salvo poi farsi carico, almeno in parte, degli impegni tacitamente trasferitigli dall’amico carrozziere quando questi, infine, va incontro alla propria annunciatissima morte.
Il film è umano, ambiguo, scabro, sobrio e straziante. Ed eccelle proprio nel descrivere il difficile passaggio delle “consegne”. Il carrozziere, almeno in parte, le impone all’amico, ma forse di questo neppure è del tutto consapevole. Gli manca di rispetto? Forse, ma la questione è di altezza suprema, tale da svellere dal terreno delle consolidate regole sociali i paletti delle ragioni e delle facili decenze. Insomma, di fronte alla morte, quanto sareste disposti a mancare di rispetto a un amico per salvare e fare vivere ancora una parte del vostro mondo (amico compreso)? Fino a che punto sareste disposti a dissimulare e mentire ai vostri cari per perseguire quello che vi sembra il bene maggiore? E quanto sapreste, o saprebbero gli altri nel guardarvi da fuori, discernere in questa vostra condotta tra egoismo e altruismo? Oppure, in altri termini, per usare un ossimoro, quanto può essere egoista l’amore?
Le domande risuonano, lavorano, turbano, tornano in mente… e forse, come si addice davanti ai veri misteri, invece che rispondere è meglio tacere. Oppure, piuttosto, come hanno fatto gli autori di Questioni di cuore (la regia è di Archibugi), narrare. Perché se è vero che in questi casi una descrizione, per esempio delle gerarchie dei beni voluti e implicati dalle scelte dei personaggi (la vicenda può esssere letta dal punto di vista di ognuno), si scontra con paradossi inestricabili, ovvero (secondo il vocabolario filosofico) indecidibili, raccontare una storia, invece, ci permette di mettere le carte in tavola, mostrare le mosse dei giocatori e definire la posta in gioco senza giungere a una conclusione che si rifaccia a una legge. Una storia articola e gioca con temi universali, ma non li esaurisce. E forse, parlando di rispetto, una storia ci ricorda col suo solo narrare, senza legiferare, che il rispetto consiste proprio nel tenere presente che qualcosa sempre ci sfugge, trascende, va al di là di qualsiasi riduzione a una logica o a un calcolo definitivi. Non proprio un mistero, ma quasi: uno spazio che resta libero, in agio, per sempre nuove interpretazioni.


Le grandi sfide per il management del XXI secolo – 1

Come dicevamo in un precedente post (che si trova sotto l'etichetta "25 sfide per il management di domani", che si trova in fondo a questo post) la prima delle 25 sfide per il management di domani è:

Fare in modo che il lavoro del management serva un fine più elevato. Il management, tanto nella teoria che nella pratica, deve orientarsi al conseguimento di obiettivi nobili e socialmente rilevanti.

Che sembra molto ambiziosa. O esagerata. Oppure impossibile… vero? Vediamo… sapete qual è la mission di Google? “Organizzare la conoscenza universale in modo che sia accessibile e utile”. Mi sembra molto bella, nobile e socialmente rilevante. Quindi è possibile rispondere positivamente a questa prima sfida. Va inoltre notato che, a differenza di molte altre mission, quella di Google è distintiva e specifica, si capisce perfettamente cosa ammette e cosa no. E per di più, grazie al Dio degli stakeholders, non tira in ballo il valore per gli azionisti (niente contro sia chiaro, ma c’è in quasi tutte le mission… è esornativo). Insomma quei ragazzi di Google sanno cosa stanno facendo.. e questo, guarda caso, li rende orgogliosi, entusiasti e motivati. Ma bravo, direte voi, stiamo parlando di Google! …e noi che invece facciamo pompe sottomarine? Ahinoi, la grettezza! In verità è sempre possibile contestualizzare il proprio business in un ambito di più ampia e sociale rilevanza… e non è questione di retorica, al contrario, è questione di realismo. Si tratta di pensare a chi è interessato a quello che facciamo, alla nostra ragion d’essere, ai legami sociali che il nostro business comporta. E state certi che al pensarci così, ne viene fuori un valore sociale e perfino nobile (bè, ovviamente dipende dai criteri con cui si definisce la nobiltà). Insomma è un esercizio di pensiero sociale ed etico, una defnizione della propria identità a partire dal motivo per cui gli altri (clienti, fornitori, vicini ecc.) ci danno valore. Provate dunque a chiedervi: cosa dò al mondo? Perché gli altri dovrebbero essere interessati alla mia esistenza? Chi si avvantaggia di me? E perché? E come e in che misura tutto questo è condivisibile e valorizzabile da un gruppo ampio di persone? E se questo gruppo di persone fossero tutti, vale a dire il genere umano, la cosa, il valore sociale del mio business, reggerebbe ancora?
E di una cosa potete stare sicuri: che se non trovate risposte soddisfacenti a queste domande il vostro business non vale gran chè. E varrà sempre meno.

Per maggiori informazioni vedi
www.managementlab.com e “Le grandi sfide per il management del XXI secolo del XXI secolo” in Oltre la crisi, Piccola Biblioteca del Sole 24 Ore N. 19/2009, Il Sole 24 Ore.

sabato 7 novembre 2009

Le grandi sfide per il management del XXI secolo - elenco

Nel 2009 un gruppo di esperti di organizzazione si riunisce per chiarire quali siano i rischi e le opportunità più importanti per il management di domani. La conferenza, organizzata da The Management Lab (www.managementlab.com) con il supporto di McKinsey & Co. è durata due giorni e ha visto impegnate 35 autorità del settore, di orientamento liberal e progressista, va detto, tra cui, tanto per citarne alcuni Chris Argyris (Harvard University), Lowell Bryan (McKinsey Company), Yves Doz (Insead), Linda Hill (Harvard Business School), Tom Malone (MIT Sloan School of Management), Peter Senge (Society for Organizational Learning e MIT), nonché esponenti di Google, Wired, W.L. Gore Associates, Whole Foods, UBS e altre quattro o cinque importanti università americane. Costoro, che rappresentano sicuramente una parte del pensiero di punta di oggi sulle questioni organizzative, hanno redatto un documento che comprende e descrive le 25 sfide chiave per il management di domani, una sorta di manifesto di cui intendiamo parlare un po’. Per ora mi limito a elencarle:

1. Fare in modo che il lavoro del management serva un fine più elevato. Il management, tanto nella teoria che nella pratica, deve orientarsi al conseguimento di obiettivi nobili e socialmente rilevanti.

2. Incorporare a pieno titolo le idee di comunità e cittadinanza nei sistemi di gestione. Occorrono processi e prassi che riflettano l’interdipendenza di tutti i gruppi di stakeholder.

3. Ricostruire le fondamenta filosofiche del management. Per creare organizzazioni che siano ben più che semplicemente efficienti, avremo bisogno di attingere agli insegnamenti di campi come la biologia, le scienze politiche e la teologia.

4. Debellare le patologie della gerarchia formale. Le gerarchie naturali, dove il potere procede dal basso verso l’alto e i leader emergono anziché essere nominati, comportano numerosi vantaggi.

5. Combattere la paura e aumentare la fiducia. La diffidenza e la paura sono tossiche per l’innovazione e il coinvolgimento, e devono essere estromesse dai sistemi manageriali di domani.

6. Reinventare gli strumenti di controllo. Per superare il trade-off tra disciplina e libertà, i sistemi di controllo devono incoraggiare il controllo dall’interno anziché i vincoli imposti dall’esterno.

7. Ridefinire il lavoro di leadership. La nozione de “il” leader come teorico decisore è indifendibile. I leader devono essere rimodellati come architetti di sistemi sociali che favoriscono l’innovazione e la collaborazione.

8. Espandere e sfruttare la diversità. Dobbiamo creare un sistema manageriale che dia valore alla diversità, al disaccordo e alle divergenze tanto quanto alla conformità, al consenso e alla coesione.

9. Reinventare il processo della formulazione della strategia come un processo in divenire. In un mondo turbolento la formulazione delle strategie deve riflettere i principi biologici della varietà, della selezione e della conservazione.

10. Destrutturare e disaggregare l’organizzazione. Per diventare più capaci di innovare, le grandi organizzazioni devono essere disaggregate in unità più piccole e malleabili.

11. Ridurre sensibilmente l’influsso del passato. I sistemi di management esistenti spesso rinforzano, senza volerlo, lo status quo. In futuro dovranno facilitare l’innovazione e il cambiamento.

12. Condividere il lavoro di stabilire la direzione. Per coinvolgere i dipendenti, la responsabilità della definizione degli obiettivi deve essere distribuita attraverso un processo nel quale il grado di influenza sia proporzionale al discernimento, non al potere.

13. Sviluppare misure di performance olistiche. Le misure di performance esistenti devono essere ripensate, perché non prestano sufficiente attenzione alle competenze umane fondamentali che stanno alla base del successo in un’economia creativa.

14. Allungare gli orizzonti temporali e la visione prospettica dei dirigenti. Scoprire alternative ai sistemi di retribuzione e ricompensa che incoraggiano i manager a sacrificare gli obiettivi a lungo termine per i guadagni di breve periodo.

15. Creare una democrazia dell’informazione. Le aziende hanno bisogno di sistemi di informazione olografici, che diano a tutti i dipendenti gli strumenti di cui hanno bisogno per agire nell’interesse dell’intera impresa.

16. Dare potere ai ribelli e disarmare i reazionari. I sistemi di gestione devono dare maggiore potere ai dipendenti che hanno investito il proprio capitale emotivo nel futuro anziché nel passato.

17. Espandere la portata dell’autonomia del dipendente. I sistemi di gestione devono essere progettati in maniera da favorire le iniziative dal basso e la sperimentazione locale.

18. Creare mercati interni per le idee, i talenti e le risorse. I mercati riescono ad allocare le risorse meglio di quanto non facciano le gerarchie, e i processi di allocazione delle risorse aziendali devono riflettere questo dato di fatto.

19. Depoliticizzare i processi decisionali. I processi decisionali devono essere liberi da distorsioni legate alla posizione e devono sfruttare la saggezza collettiva dell’intera organizzazione, e anche oltre.

20. Ottimizzare meglio i trade-off. I sistemi di gestione tendono a imporre degli aut-aut. Ciò che serve sono sistemi ibridi che ottimizzino più gradualmente i trade-off.

21. Dare libero sfogo all’immaginazione umana. Molto si sa dei fatti che stimolano la creatività umana. Queste conoscenze devono essere applicate meglio alla progettazione dei sistemi manageriali.

22. Favorire le comunità di interessi. Per massimizzare il coinvolgimento dei dipendenti, i sistemi manageriali devono facilitare la formazione di comunità di interessi spontanee.

23. Riattrezzare il management per un mondo aperto. I network che creano valore spesso trascendono i confini dell’impresa e possono rendere inefficaci i tradizionali strumenti manageriali basati sul potere. Servono nuovi strumenti di gestione per costruire e modellare ecosistemi complessi.

24. Umanizzare il linguaggio e la prassi del business. I sistemi gestionali di domani dovranno attribuire altrettanta importanza agli ideali eterni dell’umanità, come la bellezza, la giustizia e la comunità, quanta ne ripongono nei tradizionali obiettivi dell’efficienza, del vantaggio e del profitto.

25. Rieducare la mentalità manageriale. Le tradizionali capacità analitiche e deduttive dei manager devono essere intergrate da capacità concettuali e di pensiero sistemico.

E ora, ricordiamoci della prima:

Fare in modo che il lavoro del management serva un fine più elevato: il management, tanto nella teoria che nella pratica, deve orientarsi al conseguimento di obiettivi nobili e socialmente rilevanti.

Credo che sia anche la più importante. E concludo con una domanda: ma come fare? Pensarci non è esercizio da poco… proviamoci. Per chi vorrà seguirmi, in un prossimo post, sotto l'etichetta "25 sfide per il management di domani" (cercatela nei tag a destra), ne discuterò e poi, via via, con successivi post, tratterrò tutte le altre sfide, per trarne una sorta di manuale dell'organizzazione del futuro.
(per maggiori informazioni vedi
www.managementlab.com e “Le grandi sfide per il management del XXI secolo” in Oltre la crisi, Piccola Biblioteca del Sole 24 Ore N. 19/2009, Il Sole 24 Ore).